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A pochi metri da dove vivo, si trova la foce del fiume Akragas, da cui prese nome l’antica città greca, l’odierna Agrigento, definita allora da Pindaro “la più bella tra le città dei mortali”.

L’amore per i miti e le leggende che riguardano la mia terra, nasce  proprio dal sentore di vivere in un luogo mitico, dove miti, leggende ed accadimenti storici si sono intrecciati alla realtà di posti incantevoli.
Spesso mi trovo a passeggiare sul greto del fiume, in prossimità della spiaggia, scrutando l’orizzonte di questo mare africano, immagino il traffico di navi greche, romane, fenici/cartaginesi che approdavano al porto presso la foce del fiume per approvvigionarsi di cereali, olio e vino e della preziosa ossidiana che qui arrivava dalle isole Eolie. Navi mercantili dalla madre patria ma anche navi cartaginesi e poi romane, navi che commerciavano pacificamente ma che portarono in seguito, anche guerre e distruzioni.

Agrigento La leggenda della precoce fioritura dei mandorli

Ogni anno ad Agrigento si celebra la Festa del Mandorlo in fiore. Una festa, di antica tradizione, che vede la partecipazione di gruppi folkloristici da tutto il mondo. Trova la sua ragione nel fatto che già in febbraio (ma spesso anche prima) per la particolare conformazione della Valle che crea un microclima favorevole, i mandorli fioriscono precocemente rispetto a qualsiasi altra zona della Sicilia. E’ così la Valle dei Templi si ammanta di bianchi fiori di mandorlo, facendo apparire la valle come innevata.
La leggenda narra che Fillide, principessa tracia, non vedendo tornare dalla lunga guerra di Troia l’amante Acamante, figlio di Teseo, presa dalla disperazione, si uccise. La dea Atena, mossa a pietà, la trasformò in un albero di Mandorlo.
Acamante ritornato in seguito in patria, venne a conoscere il destino dell’amata e corse ad abbracciare l’albero che così sbocciò di bianchi fiori.
E’ per questo motivo quindi, che i mandorli fioriscono prematuramente nella Valle rievocando il mito dei due sfortunati amanti.

Il mandorlo in Fiore della Valle dei Templi di Agrigento

Eraclea Minoa – Il mito di Dedalo, Minosse e il Minotauro.

Uno dei miti più famosi e coloriti – chi non ricorda Icaro che sciolse le sue ali di cera volando vicino al sole -, è legato alla terra agrigentina, in particolare a Eraclea Minoa. E il termine “Minoa” la dice lunga sulle vicende che la videro protagonista.
Minosse re di Creta, inferocito per la fuga dell’architetto Dedalo e di suo figlio Icaro dal famoso labirinto, lo inseguì nella sua fuga, e arrivò con le sue navi in Sicilia, dove sapeva fosse diretto.
Dedalo si era rifugiato alla corte del Re sicano Cocalo, costruendogli nel frattempo una reggia inespugnabile nella città capitale del suo regno: Camico.
Non sapendo Minosse dove albergasse Dedalo, cercò di stanarlo con uno stratagemma: indisse una sorta di gara, con lauta ricompensa, a chi fosse riuscito a far passare un filo tra le spirali di una conchiglia. Dedalo riuscì, grazie al suo ingegno, legando il filo ad una formica, a vincere la gara, ma in questo modo si espose a Minosse che si precipitò a Camico per ucciderlo. Qui però il re Cocalo prese la parti di Dedalo e affidò Minosse alle “cure” delle figlie che inducendolo a rilassarsi prendendo un bagno caldo, lo uccisero affogandolo. Il mito è molto più articolato e presenta qualche variante, ma è concorde nei fatti che ho raccontato. Molti luoghi siciliani hanno cercato di assegnarsi il mito di Dedalo e Minosse ma ormai tutti gli studiosi concordano nel ritenere il paese di Sant’Angelo Muxaro, a pochi chilometri da Agrigento, la sede del regno del re Cocalo e gli indizi sono moltissimi e concordanti. Intanto la località di Eraclea Minoa, oggetto di due nostri Itinerari, sorge sul mare,pochi chilometri a sud rispetto Sant’Angelo Muxaro, alla foce del fiume (l’odierno Platani) che lambisce la stessa Sant’Angelo. A testimoniare antichi commerci e le frequentazioni con i cretesi micenei, sono presenti nel bellissimo paesino arroccato su una montagna, reperti straordinari come tombe a tholos d’ispirazione micenea, mentre nel sottosuolo, sono stati ritrovati oggetti in oro con raffigurazioni taurine di chiaro stampo cretese, conservate presso il British Museum. Oltretutto il toponimo “Minoa” legato ad “Eraclea” richiama chiaramente il mito di Minosse, ricordando il luogo dove sarebbe approdato in terra siciliana. Ma ad assegnare definitivamente il mito alla terra agrigentina è Diodoro Siculo quando, raccontando della reggia costruita da Dedalo per Cocalo, afferma che la stessa Camico si trova all’interno dei territori di Akragas che allora non andavano oltre il fiume Platani.
A proposito di questo mito a suggellare la sua appartenenza a questi luoghi, si tramanda nella zona dell’agrigentino, un’antichissima filastrocca con funzioni di monito per i piccini, che richiamava i riti sacrificali che si compivano all’interno del labirinto e che suonava così:
“ Mini Minossi, li carni e l’ossi…”!

 

Trapani ed Erice

La nascita della splendida città di Trapani ha una genesi mitica. Trapani infatti, si insinua come una penisola nel mare e ricorda la forma di una  falce, in questo caso la falce di Cerere , dea dei raccolti, gettata per disperazione durante la ricerca della figlia Persefone,  La falce generò  Drepanum (antico nome della città di Trapani) .
Altro mito legato alla zona del trapanese, riguarda l’origine di una delle popolazioni che insieme ai Sicani e ai Siculi, vivevano in Sicilia: gli Elimi.
Un mito fa risalire gli Elimi a Enea e alla sua fuga dalla distruzione di Troia. Cercando di raggiungere Roma, sbarcò invece nei pressi di Trapani, dove diede sepoltura al padre Anchise, morto durante la navigazione.
In seguito, Elimo, un figlio illegittimo di Enea, decise di restare in questa terra, così fu che la sua stirpe, gli “Elimi”, abitò per secoli questa zona della Sicilia.
In onore a questa leggenda è stata collocata una stele lungo la costa, nel luogo della presunta sepoltura di Anchise a pochi chilometri da Trapani.
Gli Elimi, molto più verosimilmente, attraverso studi anche sulla lingua, sembrano siano state popolazioni arrivate in Sicilia dalla Liguria.
Segesta con il suo tempio greco (successiva ellenizzazione) era il più importante centro Elimo, mentre la splendida Erice ne era il centro religioso dove, secondo alcune fonti, presso il santuario di Afrodite si praticava la prostituzione sacra.
Al paese di Erice si lega invece una vicenda letteraria straordinaria: lo scrittore inglese Samuel Butler, durante il suo viaggio in Sicilia si convinse che l’autore dell’Odissea fosse stata una nobildonna  ericina. Il paesaggio intorno Erice, infatti, è di una magnificenza unica con le isole Egadi, il monte Cofano, la costa molto variegata… Insomma, secondo il Butler, la nobildonna o lo stesso Omero, che a questo punto era nato ad Erice, senza spostarsi da questo luogo, avevano, solo osservando quel paesaggio, ambientato l’Odissea nella scenografia trapanese. Anche il mito di Polifemo sembra dare riscontro a questa ipotesi, infatti nei pressi di Trapani, a Martogna, la leggenda narra che sia stato trovato le scheletro immane di un gigante, probabilmente Erix , gigante sconfitto d Ercole! Lo stesso Butler visitò la grotta del presunto ritrovamento per accertarsi del fatto.

 

Il mito di Deli

E’ il mito legato alla nascita delle isole Egadi.
La giovanissima e bellissima Deli, figlia del dio Ares, viveva presso le Driadi, ninfe dei boschi che l’avevano raccolta dopo l’abbandono da parte della madre. Viveva immersa nella natura che ricambiava la sua bellezza accogliendola nel suo abbraccio. Le voci sulla bellezza di Deli arrivarono a Plutone che si appostò sul monte Erice e la possedette contro la sua volontà, sotto un grande albero di Carrubo che, testimone della terribile scena, allargò i suoi rami per permettere la visione di questa crudeltà  agli dei. Una potente armata comandata da Marte scese dal cielo per punire Plutone, ma il potente dio, sconfisse l’intera armata uccidendo lo stesso Marte. La povera Deli non sopravvisse all’orrenda visione provocata dalla battaglia e perì. Presi da pietà per la sua sorte le vennero in soccorso Zeus e Zaffiro che soffiando dolcemente sul suo corpo, permisero all’anima di Deli di rientrarvi, mentre Venere, amorevolmente, la portò con sé adagiandola nello specchio di mare sottostante Erice trasformandola in isola.
Deli, adesso Favignana, generò poi le odierne Marettimo e Levanzo.

 

Itinerari che fanno capo a Palermo  e  Santo Stefano – Monti Sicani

La leggenda riguarda il ritrovamento dei resti della Santa.
Santa Rosalia (ca 1130) era la figlia di un cortigiano, del re normanno Ruggero II D’Altavilla:  Il Duca SInibaldo. Per evitare il matrimonio con il principe Baldovino, cui era stata promessa, all’età di circa quattordici anni si ritirò eremita presso uno dei possedimenti del padre, presso il bosco della Quisquina (Santo Stefano, Agrigento. Qualche tempo dopo, si ritirò sul Monte Pellegrino a Palermo, dove morì in una grotta proseguendo nella sua vita da eremita.
Quattrocento anni dopo la sua morte, una donna, Indico il luogo dove erano sepolte le spoglie della santa, avendo ricevuto in sogno, precise  indicazioni dalla stessa- Sorse quindi la necessità di attribuire le spoglie alla santa, motivo per cui, si succedettero diverse commissioni d’indagine formate da scienziati del tempo, sino a quando una di esse assegnò definitivamente le poche ossa ritrovate, di provenienza incerta, ad una giovinetta. Le commissioni precedenti che erano state di diverso parere, dovettero ricredersi. In questi frangenti, la peste incalzava mietendo vittime. A questo punto e le autorità religiose non indugiarono ulteriormente, decretando ufficialmente che quelli in loro possesso erano  i resti della Santa , da portare immediatamente in processione per scongiurare la terribile epidemia. La peste in effetti regredì e Santa Rosalia divenne ufficialmente la Santa Patrona di Palermo. La processione si tiene ogni  quindici di luglio; u “fistinu” di Santa Rosalia è un evento seguitissimo dai palermitani che attrae moltissimi turisti. Pittoresco il carro, a forma di nave, che trainato da un carro, porta l’effige della santuzza in processione seguito da migliaia di turisti. Obbligatorio, al passaggio della Santa , gridare a squarciagola
”Viva Palermo, Viva Santa Rosalia!”.

Il maestoso Vulcano Etna

Di Empedocle e dei Ciclopi
La morte di Empedocle.

I miti che circondano Catania con il suo vulcano sono numerosissimi,uno in particolare riguarda uno dei Itinerari più elettrizzanti , quello che vi porterà in cima al vulcano, presso “La Torre del Filosofo” prima di iniziare la straordinaria discesa lungo i canaloni sabbiosi a fianco della Valle del Bove.
Empedocle,  grande filosofo greco nacque ad Agrigento . Grande  oratore, taumaturgo, poeta scienziato, gli furono attribuite anche doti di mago. Molto discordanti le notizie circa le causa morte, ma per quanto ci riguarda, prenderemo  per buona, quella che il mito ci tramanda.
Cosi si racconta che Empedocle, per soddisfare la sua sete di sapere, o per altri, per sparire come fosse stato un dio, scalò l’Etna e si lanciò all’interno del vulcano. Il vulcano però sputò fuori uno dei suoi famosi sandali di bronzo, rivelando così ai posteri, il gesto di Empedocle che lo portò alla morte.
IL luogo dove si svolse questa storia si trova a quota 2900 metri ed è appunto conosciuto come “Torre del Filosofo” .

 

Pantelleria 

Questa splendida isola, così sospesa tra  Sicilia e Africa, sulle rotte che dall’Egeo portavano a Trinacria, (diversi ritrovamenti lo testimoniano)  è oggetto di molti miti e leggende, ma sicuramente il mito o anche la storia,  più la lega all’opera letteraria di Omero, essendo stata individuata in  Pantelleria l’Ogigia omerica, i l’isola  dove Ulisse riparò per sette anni.
Rispetto ad altri luoghi che se ne attribuiscono la paternità ,Pantelleria ha decisamente più di tutti gli altri,  le caratteristiche esposte  da Omero nel suo racconto.
Già la descrizione di Ogigia  sembra essere quella di Pantelleria, lontana da altre isole e con fitti boschi, ma è la similitudine con la grotta di Calypso che è impressionante! All’interno della grotta pantesca di Sateria vi erano  infatti quattro rivoli di acqua termale che sgorgano liberamente ; dice Omero: “ Quattro fonti sgorgavano in fila con limpida acqua”.
I riferimenti poi alla vite fanno protendere sempre più per l’ipotesi Ogigia/Pantelleria, poiché Pantelleria era riconosciuta sin dall’antichità per la produzione di uva e pregiati vini.

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